Compositore, pianista, direttore d’orchestra, Nino Maioli nasce a Ravenna nel 1907 e qui, contemporaneamente agli studi di giurisprudenza culminati con la laurea nel ’31, inizia quelli musicali, in particolare di composizione con Francesco Balilla Pratella, che dirige l’Istituto musicale della città. Il percorso viene completato a pieni voti presso l’allora Liceo musicale “G.B. Martini” di Bologna, sotto la guida di Cesare Nordio, nel 1935.
Gli anni della formazione sono cruciali per l’attività compositiva. In quel periodo vedono la luce varie opere sinfoniche, come l’Allegro, Intermezzo e Allegro e Il Tempio sotto le stelle, o teatrali, come Morte di Re Lear.
L’Allegro, eseguito in una di quelle “mostre d’arte prelittoriali” che se non altro offrono spazi alle giovani promesse, ha un’eco favorevole sulla stampa: «Maioli indubbiamente dirà qualche cosa di importante... Sin d’ora ha diritto di essere collocato nel plotone di quei nuovi compositori ai quali l’Italia, domani, potrà domandare della musica» (Il Resto del Carlino, marzo 1934).
E qualcosa di importante lo dice, se addirittura il grande compositore polacco Karol Szymanowski, assistendo in Bologna a una prova d’orchestra nel 1933, apprezza tanto il notturno sinfonico A Ravenna, versione riveduta e ampliata del citato Tempio sotto le stelle, da dichiarare che «ben volentieri avrebbe posto la sua firma nel lavoro di Maioli». Lo racconta in un’autografa del ’51 Guido Spagnoli, già docente di Contrappunto e Fuga, ricordando gli anni in cui, tra i suoi migliori allievi, Maioli «si fece subito notare nell’ambiente musicale bolognese per l’originalità delle sue composizioni».
La Morte di Re Lear, unica composizione operistica dell’autore, che per il teatro scrive anche una Musica per balletto, va in gran parte perduta negli anni di guerra durante il passaggio del fronte, insieme fra l’altro a un’attestazione di Alfredo Casella, direttore dei corsi di perfezionamento dell’Accademia musicale chigiana di Siena frequentata da Maioli negli anni precedenti. «Nella Morte di Re Lear» osserva sulla base dei frammenti sopravvissuti Cristina Landuzzi, compositrice e docente di Fuga e Composizione al Conservatorio “G.B. Martini” «la raffinata ricerca timbrica sottolinea con atmosfere molto tese le pieghe emotive dei personaggi e della vicenda, atteggiamenti che richiamano le conquiste linguistiche dell’ultimo Verdi e che continuano ad accompagnare l’opera italiana del Novecento nelle strade tracciate da Dallapiccola. L’espressività delle linee vocali, orientata nella tradizione, vive poi all’interno di una scrittura orchestrale raffinata, efficace drammaturgicamente, e testimone della poetica viva e originale che Maioli conduce con impeccabile rigore formale.»
E si potrebbero citare molte altre composizioni, tra cui l’impressione sinfonica Crepuscolo d’autunno, il 2° Concerto per pianoforte e orchestra, un Quartetto per archi. A fronte della cospicua produzione non mancano le attestazioni di stima: «Nomino alla fine Nino Maioli» scrive Pratella in chiusura a un articolo dedicato a letterati, artisti e musicisti ravennati «che io considero veramente musicista dotato di genialità e fra i nostri migliori viventi» (Corriere Padano, marzo 1942).
Alla fine della guerra, succedendo allo stesso Pratella, Maioli viene nominato direttore dell’Istituto musicale “Giuseppe Verdi”, ruolo che in pratica già occupa dal ’44 e che manterrà fino al ’73.
Nei trent’anni circa della sua direzione imprime alla scuola un indirizzo di serietà e vitalità: dedica grande cura ai saggi finali degli allievi, che suscitano sempre il consenso del pubblico e della stampa; fa adottare i programmi di insegnamento e di esame dei Conservatori musicali di Stato, ponendo così le basi per il futuro pareggiamento; tiene corsi di Composizione, Armonia e Storia della musica. Un trentennio nel quale, per forza di cose, l’attività compositiva cede agli impegni del didatta.
Naturalmente c’è sempre l’amato pianoforte. Per questo strumento, che gli è tanto congeniale, scrive i Sei piccoli pezzi, trasmessi nel ’46 da Radio Milano nell’esecuzione di Nunzio Montanari, compagno di studi musicali e amico di una vita. E con una Suite per pianoforte vince nel ’48 (a pari merito con Ugo Amendola) il primo premio nel Concorso nazionale di composizione per musica da camera indetto dal Circolo universitario cittadino di Bolzano. Qualche anno più tardi, il pianista Vincenzo Pertile inserisce la stessa Suite in un programma che tocca città italiane ed europee, da Messina, Palermo e Venezia a Oporto, Lisbona, Barcellona e Madrid (dove è segnalata dal critico di ABC).
C’è poi il Maioli pianista. Nel dicembre 1945, quando la giovane soprano padovana Maria Giovanna Loperfido debutta a Ravenna con due concerti, la recensisce molto favorevolmente; un paio d’anni dopo sono sposati. Danno quindi vita al Duo Maioli e a un sodalizio musicale di lunga durata. Nelle numerose esibizioni che hanno luogo in Italia e non solo – lui è il collaboratore pianistico – eseguono spesso sue composizioni, in particolare Segni, quattro liriche su testi di Giacomo Prampolini, e Convegno d’amore su testo di Rilke. Quest’ultima attrae l’attenzione dell’articolista del Wiener Kurier in un concerto tenuto a Vienna nel ’52 durante una fortunata tournée austriaca. Musicista poliedrico, quando accompagna a Siena la moglie per il corso di Arte vocale da concerto, si diverte nel frattempo a suonare i timpani nell’orchestra diretta da Paul van Kempen, che commenta: «Grande timpanista, Maioli».
Ma è anche direttore d’orchestra, e in tale veste profonde grandi energie. Anno molto intenso, per esempio, è il ’37: oltre a un ciclo di concerti in varie città, una lunga serie di “concerti di fabbrica” ha luogo in sedi dopolavoristiche alla presenza delle maestranze e delle autorità. Nel ’38 è chiamato come maestro sostituto per Giuseppe Del Campo nella stagione lirica del Teatro Comunale di Bologna, con replica a Ravenna. Del Campo rimane così soddisfatto che lo vorrebbe con sé al San Carlo di Napoli per la stagione successiva; Maioli tuttavia non accetta.
Immune da ambizioni di tipo carrieristico, sogna da sempre di costituire un’orchestra stabile. Nel ’63 riesce a raccogliere attorno a sé una formazione di archi e la dirige a Ravenna nel primo concerto dell’Orchestra d’archi ravennate, con musiche di Scarlatti, Händel, Mozart, Ricci-Signorini e Čajkovskij, ottenendo larga approvazione di pubblico e stampa. L’esperimento prosegue nel ’67 con un secondo concerto che replica il successo del precedente.
«Dotato di fine sensibilità artistica, di un braccio capace di dominare l’orchestra, di una salda e serena memoria che gli consente di dirigere ampi programmi senza spartito» ha profetizzato l’Avvenire d’Italia due decenni prima «egli può avventurarsi nella nobile fatica di direttore con sicuri successi.»